• Lettera dinnanzi al kakejiku
    May 6 2024
    In questa puntata leggo la lettera che ho scritto a mia mamma mentre osservavo un kakejiku: "Il canto di un volo riflesso, sulle acque del lago, viene sbirciato da un mazzo di rose. Il pino su cui si posa cambia dimensione, chinandosi sottosopra. Tra l’acqua e l’aria il suo corpo di terra è una scala che collega i mondi. Perdura l’ascolto di quell’eco eterno, abbellito di piume lunghe. È come se si potesse ascoltare una trisavola che richiama il suo futuro nipote. Tra le mani, così vicino al sogno, l’aroma del tè."
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    1 min
  • Da sempre e per sempre salvə
    Apr 29 2024
    Aveva ragione Giacomo Leopardi, ne La ginestra, a sottolineare la potenza consolatrice della poesia dinnanzi all’insensatezza dell’esistenza: “Or tutto intorno una ruina involve, dove tu siedi, o fior gentile, e quasi i danni altrui commiserando, al cielo di dolcissimo odor mandi un profumo, che il deserto consola”. Una forma d’arte che, apparentemente, non aveva ancora del tutto rinunciato alla propria funzione consolatrice ma che, essenzialmente, ne era già consapevole. La poesia, come la danza, è un bellissimo rimedio di fronte al dolore del lutto e all’angoscia della morte, ma è destinato a fallire. Mettiamo in luce la contraddizione che si cela dietro a questo pensiero. Chi è sofferente e cerca consolazione nelle arti (o in un altro rimedio) desidera che quello che crede possa smettere di essere ciò che è (il desiderato) e diventare ciò che non è (l’ottenuto, il non-desiderato). Il desiderare, quindi, si fonda sulla convinzione che l’esser sé dell’essente sia il diventar-altro dell’essente stesso. Il desiderare, quindi, si fonda sulla convinzione che sia possibile il diventar-altro degli essenti, che sia possibile per il mortale diventare immortale. Questa è la convinzione della volontà originaria che crede che tutte le cose del mondo divengano. Tuttavia, la filosofia testimonia l’impossibilità del divenire. È, infatti, impossibile che un essente diventi altro da sé.
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    7 mins
  • Oltrepassare il dolore
    Apr 22 2024
    Da sempre guardiamo con interesse non solo al diventar-altro delle “cose” del mondo, ma anche a ciò che ci sembra non seguire il divenire e che si rivolge all’eternità e all’incorruttibilità dell’essente. Sin dai suoi albori, l’umanità ha intessuto i suoi miti e la sua filosofia con i moti perpetui del cielo. Disegnando le costellazioni tra le stelle, suonando e danzando i cicli delle stagioni, l’umanità ha sempre contemplato l’eternità di ciò che scompare e poi riappare, come il moto del Sole. Siamo da sempre abitati da dimensioni che oltrepassano quello che vediamo solo con i nostri occhi. Sin da quando siamo bambini, infatti, abitiamo mondi che varcano le soglie della mera fattualità. Grazie alla danza butō, mi è capitato più volte di stupirmi dinnanzi a queste esperienze di “espansione della coscienza”. Rimane indelebile, nella mia memoria, quella sensazione di sprofondare al centro della terra pochi giorni prima del funerale di mia mamma. Già da sempre e per sempre, infatti, abitiamo l’eternità. C’è infinitamente altro rispetto a ciò di cui facciamo esperienza e, all’infinito, siamo destinati a fare esperienza dell’infinitamente altro.
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    10 mins
  • “Abitiamo le case della Luna” disse Giano
    Apr 15 2024
    Come “soglia della morte”, la porta presieduta da Giano rappresenta il simbolo del passaggio e dell’iniziazione: dal profano, al sacro; dall’ignoranza, alla conoscenza; dalla mortalità, all’immortalità; dalla dualità, all’unità; dalla temporalità, all’eternità. E, si sa, nei riti di iniziazione gli iniziati devono morire per rinascere. La morte rappresenta l’apertura dello sguardo della verità, lo scostarsi dei veli delle apparenze e l’inizio della vita consapevole. Al cospetto di Giano, ora, facciamo assieme un’invocazione. Chiediamo che ci illumini rispetto alla domanda fondamentale che ci poniamo in questo podcast. Atterriti, dinnanzi alla morte, chiediamo: “Cos’è la morte?” Giano bifronte, divinità dell’inizio e della fine, ci risponderà che è impossibile indagare la morte a prescindere dall’inizio della vita. In verità, infatti, è impossibile morire se non siamo convinti anche di nascere.
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    8 mins
  • La morte è impossibile! La filosofia di Emanuele Severino
    Apr 8 2024
    Nel Novecento si è levata la voce che ha testimoniato l’impossibilità, per l’essente, di divenire poiché, se divenisse, sarebbe necessario che ci fosse un tempo in cui l’ente è e un tempo in cui non è, ma il dibattersi dell’ente tra essere e niente si rivela contraddittorio, è impossibile, è la follia che ha caratterizzato il pensiero filosofico fino a questo momento. Infatti, gli scritti del filosofo Emanuele Severino testimoniano che pensare che una cosa “è quando è” e che “non è quando non è” significa ammettere che ci sia un tempo in cui una cosa-che-è è nulla. Il che significa ammettere che ci sia un tempo in una cosa-che-non-è-nulla è nulla. Questa è la contraddizione di fondo con cui ci dobbiamo confrontare quando indaghiamo il senso della morte. Questa, infatti, è la follia che si cela nel pensiero che testimonia il divenire delle cose del mondo: l’essenza del nichilismo. Pensando fuori dalla contraddizione, allora, le cose del mondo non possono distinguersi tra enti sensibili ed eterni, né possono essere soggette al divenire delle cose, ma devono essere, tutte, eterne, anche le più “umili” e “banali”. L’eternità non è un privilegio di alcune cose “elette”, ma è la condizione di ogni essente, di ogni istante. Allora, come accennavamo nella prima stagione di questo podcast, nascere e morire sono l’impossibile.
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    6 mins
  • La chiave di volta: mai natə, mai mortə
    Apr 1 2024
    Il punto cruciale toccato dalla sentenza del Sileno riguarda la nascita. Una volta nati, infatti, siamo costretti a scegliere la vita o la morte. Ma se non fossimo mai nati, non ci sarebbe la necessità di scegliere tra la vita e la morte. Solo se siamo convinti di essere nati, possiamo porci la domanda: “È meglio vivere o è meglio morire?”. Se non fossimo mai nati, invece, saremmo niente, oppure saremmo eterni. In entrambi questi due casi, quindi, se non fossimo mai nati, sarebbe impossibile vivere e morire. Se fossimo nulla, dal “ni-ente” non potrebbe nascere né morire alcun “ente”; se fossimo eterni, dall’eterno non potrebbe nascere né morire alcun eterno, poiché sarebbe già da sempre e per sempre eterno. La domanda di senso che ci poniamo dinnanzi alla morte è, quindi, una questione che tiene nel suo abbraccio il senso dell’esistenza (vita e morte assieme) e che finisce per interrogarsi, oltre che sul senso della morte, anche sul senso della nascita.
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    3 mins
  • Meglio non esser mai natə! Il Sileno, Epicuro e Prometeo
    Mar 30 2024
    Distogliere l’attenzione dalla morte significa distogliere l’attenzione dal senso della vita. In altre parole: la vita non può essere scissa dalla morte, così come il bene non può essere scisso dal male. Con le dovute differenze, la saggezza degli antichi testimonia che, dinnanzi alla morte, è possibile essere disinvolti come Socrate e Hoshin, lapidari come il Sileno e Solone, sofferenti e poi illuminati come Prometeo ed Epicuro. Queste testimonianze provenienti dall’antichità sono accomunate dalla domanda di senso che si pone l’umanità dinnanzi al dolore e, in particolare, dinnanzi al dolore connesso con l’inscindibile coppia morte-vita. Ponendoci questa domanda di senso, siamo invitati a cercare una risposta. Siamo, quindi, invitati a educarci rispetto al senso della morte, che è indissolubilmente legato al senso della vita.
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    9 mins
  • Death education danzando
    Mar 11 2024
    La death education promuove percorsi di riflessione sulla morte sul morire per elaborare il lutto e la morte in modo consapevole. È un campo di studio interdisciplinare che si concentra sull’educazione e sulla sensibilizzazione riguardo alla morte, al morire e al lutto, con lo scopo di fornire agli individui una comprensione più approfondita di questi temi, aiutandoli ad affrontarli in modo più consapevole. Ciò che propongo con i miei workshop è sperimentare laboratori di death education attraverso la danza butō e il mio metodo FÜYA. Trovo suggestivo riportare la poetica e la pratica della danza butō al momento della nostra morte. Come sarebbe trascorrere il nostro “ultimo momento” con una danza? Come sarebbe fare del nostro “ultimo respiro” il volo dell’ultima foglia d’autunno? Come sarebbe disegnare con il nostro corpo quell’ultima forma insegnata dalla danza butō, facendo come se fossimo un fiore che sboccia? Come sarebbe aprire il nostro “ultimo sguardo” su questo mondo come se stessimo spalancando una finestra sull’eternità? Queste sono alcune riflessioni che propongo ai miei allievi.
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