Capitolo IV - Seneca
Perché abbiamo bisogno di Seneca oggi? Perché è uno di noi. Che vive in mezzo ai casini, barcamenandosi. E per questo predica bene, ma spesso razzola male. E dunque ci insegna ad accettare le nostre contraddizioni. Perché ci aiuta a lottare contro i nostri fantasmi e ad accettare la provvisorietà della vita. E ci insegna a fronteggiare le difficoltà, con la forza delle nostre convinzioni. Perché leggerlo è un balsamo per l'anima. Perché non ci dice dove andare a cercare la felicità, ma ci suggerisce che equipaggiamento indossare per la ricerca. Perché ci educa all'arte del funambolo che afferra al volo ogni opportunità. Perché ci dice di non preoccuparci del tempo che passa, ma di pensare piuttosto a come impiegarlo al meglio. E infine perché ci consiglia di trattare la morte con simpatia. Come un' amica intrigante che ci cammina a fianco sin da quando siamo nati e condivide le nostre esperienze. Con curiosità. La stessa che noi dobbiamo avere nei confronti della vita.
Episodio 5 - Dammi 3 parole: Flessibilità, spregiudicatezza e moderazione
Seneca è indubbiamente un uomo scaltro che riesce a diventare uno tra gli uomini più influenti di Roma e si conquista un posto in prima fila tra i filosofi più apprezzati dell'antichità. Infatti, per quanto occupi un ruolo centrale nelle gerarchie politiche dell'epoca, non si piega mai del tutto alle bieche logiche del potere. Ci convive semmai abilmente, riuscendo a destreggiarsi con eleganza tra complicità e acquiescenza. Tutta la sua vita è un manifesto inneggiante alla flessibilità.
Per il filosofo di Cordova, infatti, una delle sfide principali della vita consiste proprio in questo: nel cogliere al volo ogni occasione, riuscendo a ricavarne il massimo, per sé e per gli altri, cercando di non "contaminarsi" troppo. Questa giudiziosa qualità viene chiamata "eukairìa" ed è l'arte di saper afferrare al volo, in un contesto ostile, l'opportunità favorevole, la capacità di trarre il meglio da circostanze generali avverse.
A quest' avveduta capacita comportamentale, Seneca associa, in qualche frangente, la "akrasìa", un termine greco che sta ad indicare "l'agire in modo contrario ai principi che si professano abitualmente". Seneca infatti non si fa scrupolo di "predicare bene e razzolare male", coltiva il suo animo ma è anche molto attento agli equilibri diplomatici. Convinto com'è che una sua eventuale ritrosia lascerebbe il campo ad un consigliere più spregiudicato di lui, cosa che non gioverebbe alla sua carriera, ma soprattutto al bene di Roma.
L'ambiguità di questo comportamento può essere tradotta facilmente come "discordanza dai propri principi" se non addirittura come "incoerenza, ambivalenza, equivocità". Si tratta della discutibile caratteristica di non riuscire ad accordare la propria purezza di pensiero ad un comportamento "specchiato" e coerente, un' abitudine vecchia di millenni, apparentemente deplorevole, ma giustificata da molti intellettuali tra cui Pascal, Baudelaire, Oscar Wilde e Walt Whitman, che diceva : "Mi contraddico, certo, sono vasto, dunque contengo moltitudini".
Questa sua "molteplicità" non gli impedisce tuttavia di praticare la "sophrosyne" ossia il controllo di ogni vantaggio personale da parte della ragione, qualità che distingueva il cittadino benemerito che riusciva ad anteporre il benessere collettivo a quello individuale, sviluppando la capacità di prendere decisioni "in accordo" con le esigenze degli altri, oggi diremmo, esercitando l'empatia e la condivisone, e mantenendo le proprie ambizioni dentro i confini dell'interesse collettivo.